Ieri mattina gli alunni delle 3° medie e delle 1° superiori hanno incontrato Natasha e Seva, madre e figlio rifugiati ucraini, ospiti nella bergamasca. Ad accompagnarli, nonché a fare da traduttrice, Anna Carminati nostra ex alunna che per alcuni anni ha vissuto a Charkiv, la città dove Natasha e Seva vivevano prima della guerra.
Ci hanno raccontato prima di tutto i fatti, cioè di come la loro vita sia cambiata nell’arco di pochi giorni. “C’è un prima e un dopo” ha detto Seva, raccontando di come a metà gennaio l’accademia che frequenta ha spostato tutti gli studenti da Charkiv a Leopoli, per allontanare gli studenti dalle zone di confine – che erano molto calde già nelle settimane prima dello scoppio della guerra –, ma soprattutto c’è un prima e un dopo rispetto alla mattina del 24 febbraio in cui si è svegliato e guardando il cellulare ha trovato le immagini della sua città bombardata. C’è un prima fatto di vita normale, come le nostre, fatta di tanto lavoro per Natasha, che è un’imprenditrice, e un dopo fatto di sirene e di corse nei bunker, e ora in Italia.
Ci hanno raccontato della scelta di lasciare il paese per mettersi al sicuro. Seva, che ha 17 anni, voleva rimanere per aiutare, la mamma lo ha convinto ha partire con lei. Si danno da fare da qui per fare arrivare dall’Italia qualunque cosa necessaria e per far uscire dall’Ucraina altre persone in pericolo, organizzando i viaggi e i passaggi.
Seva tra poco sarà maggiorenne e avrà l’età per essere arruolato nell’esercito, questo pensiero non lascia tranquilla Natasha e nemmeno Seva, che non crede di avere le caratteristiche (soprattutto fisiche) per essere un buon soldato, ma crede di poter aiutare il suo popolo in un altro modo, gli piacerebbe farlo attraverso l’informazione.
È vertiginoso vedere e ascoltare un ragazzo di 17 anni – un ragazzo identico ai nostri studenti, un ragazzo magrolino con i capelli ricci lunghi e scompigliati, con lo sguardo intelligente e la parlata sciolta: è perfettamente bilingue russo-ucraino e conversa bene anche in italiano – dire che tra poche settimane potrebbe arruolarsi per combattere, ma che lui sta cercando di capire qual è il modo migliore per servire il suo popolo, qual è il modo migliore per mettere i suoi talenti a servizio di tutti.
Natasha e Seva ci hanno raccontato quindi di come, a modo loro, stanno combattendo. Ma ci tengono a dire che non stanno semplicemente lottando contro qualcuno, stanno combattendo per qualcosa, stanno lottando per la loro libertà.
Al temine dell’incontro abbiamo espresso la nostra disponibilità a dare una mano, abbiamo chiesto cosa potevamo fare per sostenere loro e i loro cari in difficoltà in questo momento. Lì per lì Natasha ci ha stupiti chiedendo semplicemente di essere gentili con i profughi che incontriamo e incontreremo in Italia. Pochi minuti dopo esserci salutati, via whatsapp è arrivata anche una richiesta più “operativa”: assieme all’Ong Emmaus di cui Natasha fa parte stanno raccogliendo beni di prima necessità (in particolare medicine) da portare al confine, ecco cercano qualcuno che possa mettere a disposizione un furgoncino per alcuni viaggi da Bergamo alla Polonia, l’autista c’è già, è un rifugiato ucraino ospite anche lui qui nella nostra zona. Se qualcuno volesse e potesse mettere a disposizione un mezzo per alcuni giorni, ce lo dica, lo metteremo in contatto con l’associazione.